Osservazioni alla Variante del Centro Storico, la Zona-Orientale, la zona Nord Occidentale al Piano Regolatore Generale

della città di Napoli (Deliberazione Consiliare n° 35 del 19 Febbraio 2001)

Al fine di una critica costruttiva, ogni Osservazione è seguita da una proposta progettuale alternativa

 

 

Lavoro svolto dall’associazione PRIMATE DENAUM, in collaborazione con

 

Ø      Il Prof. Giuseppe Luongo, Direttore del dipartimento di Geofisica e Vulcanologia dell’Università di Napoli Federico II

Ø      Il Prof. Arch. Nicola Pagliara, docente di progettazione architettonica presso l’Università di Napoli Federico II

Ø      Il Collegio dei Geometri della Provincia di Napoli, nella persona del Consigliere Attilio Pane

Ø      Il Capitano di Marina Dino Russo

Ø      Il Dott. Arch. Antonio Magliozzi, specialista in sistemi C.A.D. – C.A.M.

Ø      Il Dott. Francesco Varriale, ricercatore e presidente della PRIMATE DENAUM

 

Considerazioni ed osservazione preliminari

 

Premessa

Innanzitutto una premessa, con la quale si vuole evidenziare e riconoscere il merito, in particolare dell’On.le A. Bassolino, del Prof. Arch. V. De Lucia e del Prof. Arch. R. Papa, nell’aver voluto e realizzata l’attuale variante urbanistica. Difatti, bella o brutta, funzionale o meno che sia, rappresenta un grosso lavoro, sotto certi aspetti anche ottimo, che, fotografando e analizzando la Napoli attuale, fornisce quegli elementi (anche se, come si dirà, in taluni casi lacunosi) indispensabili per programmare e progettare la Napoli del futuro.

 

Presupposti

Osservazione 1) osservazione preliminare

Per comprendere come è apparsa al nostro gruppo di lavoro, la variante proposta, nel suo insieme, torna utile rapportarla alla stesura di un progetto per la realizzazione di un grande edificio. La prima cosa, la più importante, è conoscere la destinazione d’uso a cui questi è destinato, altrimenti si può progettare e realizzare un edificio da dover, nelle migliori delle ipotesi, ristrutturare il giorno dopo la sua ultimazione per poterlo rendere funzionale. Come è noto, poi, per progettare la struttura di un edificio è indispensabile anche la conoscenza del suolo e sottosuolo sul quale andrà ad insistere, conoscenza che si rifletterà anche sull’economia sia di costruzione sia di funzionalità.

Tornando alla variante appare evidente, dalla lettura della relazione e della normativa, che essa è stata realizzata senza aver affatto chiaro quale ruolo, quale vocazione dare alla Napoli del futuro. È prevista un’area industriale, sono previsti dei parchi, il ripristino di attività agricole, è confermata la delocalizzazione dell’aeroporto di Capodichino, è rimandato al piano regolatore del porto il futuro dello stesso tracciandone, comunque, le linee guida prevedendone il rilancio in tutte le attività, non appare chiaro il futuro della centrale termoelettrica di Vigliena (di cui, un protocollo di intesa firmato dal Comune, ne prevede l’ammodernamento ma non la delocalizzazione), ecc. Come dire, di Napoli è previsto di tutto e niente o, se si vuole, di tutto un po’. Non esiste una vocazione chiara e forte, non c’è in filo conduttore per cui la pianificazione urbanistica appare disaggregata e, per molte aree, prestarsi a molteplici e poco chiare soluzioni. Saltando il centro storico, di cui si dirà più avanti, un altro aspetto che, paradossalmente, appare trascurato è relativo alle potenzialità e ai rischi del suolo e sottosuolo di Napoli. Paradossale in quanto lo stesso Sindaco della città è stato per oltre tre anni commissario delegato per il dissesto del suolo e sottosuolo di Napoli; ed ancora, in quanto esiste un lavoro, prodotto da una commissione d’inchiesta parlamentare, che prevede opere, per il recupero del dissesto idrogeologico e, più in generale, per il suolo e sottosuolo di Napoli, dal costo di circa 2.400 miliardi di lire. A fronte di ciò gli allegati geologici a supporto della variante sono fermi a quelli ultimati nel 1993 in ottemperanza alla legge regionale n° 9 del 07/01/1983. Difatti, pur se di competenza regionale (in particolare dell’autorità di bacino) poteva anche prodursi, a supporto della pianificazione urbanistica, uno studio, e conseguenti elaborati, sul rischio idrogeologico, documenti, tra l’altro, oggi obbligatori per legge. Le potenzialità, rappresentate dalle tante cavità  sotterranee, possono e debbono  trovare  una loro pianificazione unitaria, mai  elaborata, che pure appare indispensabile nella pianificazione urbanistica. Vi sono, poi, altri aspetti non tenuti nella giusta considerazione i trasporti (nonostante il piano trasporti approvato nel 1997), la questione abitativa (anche per quanto attiene il crescente fenomeno dell’immigrazione extracomunitaria), la presenza dei servizi nei diversi quartieri (lo stesso dimensionamento complessivo appare artificioso); altri ancora, poi, sono quelli non considerati affatto quale la questione condono che, da un calcolo statistico, interesserebbe il 22% del patrimonio immobiliare di Napoli (sono circa 70.000 le domande in attesa di definizione).

Proposte

Le osservazioni alle quali abbiamo lavorato, sono state elaborate nello sforzo di modificare, per quanto possibile, la variante depositata, in modo che possa consentire il perseguimento degli obbiettivi e delle finalità che una città come Napoli può e deve porsi.

Una vocazione per Napoli

Se si vuole dare un futuro a Napoli questi deve essere pensato e progettato in funzione di quella che è la storia, la cultura, il contesto geopolitico e geoeconomico in cui sorge, del ruolo che ha svolto e potenzialmente può ancora svolgere, delle sue risorse e potenzialità, dei suoi problemi.

In considerazione di tutto ciò si è convinti che Napoli debba puntare a diventare un punto di riferimento economico (con una economia basata sul turismo, l’artigianato, la ricerca scientifica e tecnologica, il commercio, i servizi) e culturale che la ponga al centro dell’Europa meridionale conferendole un ruolo guida.

Rischio idrogeologico e sottoservizi

Come accennato nel 1997, per il verificarsi di ripetuti gravi e luttuosi dissesti idrogeologici e, più in generale, del soprassuolo e sottosuolo di Napoli, il Governo fu costretto ad intervenire sia nominando, nella persona del Sindaco, un commissario straordinario sia attraverso i lavori di una commissione d’inchiesta i cui risultati, tra l’altro, evidenziarono la grande carenza dei sottoservizi (in particolare acquedotto e sistema fognario). Due realtà (ovviamente legate tra loro), dissesto idrogeologico e sottoservizi, di cui non si può, a nostro avviso (ma anche secondo una recente normativa), non tenerne conto nella stesura di un P.R.G. o relativa variante. Sia per le zone identificate a rischio da assoggettare a vincolo sia per le aree interessate dalla realizzazione dei suddetti servizi.

Quindi si chiede che sia elaborata sia una carta del rischio idrogeologico sia una carta dei sottoservizi.

Le cavità del sottosuolo di Napoli

Ad oggi risultano censite circa 593 cavità per una superficie di 618.301 m2 (la più grande allo Scudillo ha una superficie di 41.902 m2 e un volume di 838.040m3). Tuttavia è noto che sono ancora molte le cavità presenti ancora da censire. Tale realtà rappresenta insieme un grande pericolo ed una grande potenzialità; difatti esse, oltre che per parcheggi, possono e devono essere impiegate anche come attrattiva turistica e, fatte le opportune verifiche, come mezzo di comunicazione interno alla città (pedonale, ciclabile, e per mezzi elettrificati). Intervenire su tale realtà, ultimando censimenti e studi al fine di poter pianificare il loro recupero ed utilizzo, comporta, come può notarsi, l’abbattimento del rischio e l’esaltazione delle potenzialità. Si ritiene che un tale strumento sia molto importante ai fini di una corretta pianificazione urbanistica per le molteplici evidenti ricadute che comporta.

Area industriale e servizi

Nella carta della zonizzazione della nuova variante si rinvengono, sia a occidente, settentrione che ad oriente, zone per la produzione di beni e servizi (lettera D). I servizi sappiamo bene cosa siano (tra l’altro sono ben specificati ed elencati) tuttavia non è chiaramente specificato che si intende per produzione di beni né si è rinvenuto un elenco esplicativo. Si ricorda che la Legge n°1444 del 02/04/1968 definisce zona D “le parti del territorio destinate a nuovi insediamenti per impianti industriali o ad essi assimilati”. Noi siamo convinti che Napoli debba smettere una volte per tutte la sua  vocazione  industriale  lasciando solo  delle nicchie  per  produzioni  specialistiche e di  qualità a basso impatto ambientale. Quindi, se non ridotte, come riteniamo opportuno debba essere fatto, quanto meno, per tali aree, vanno specificate quali percentuali sono destinate ai servizi e quali alla produzione, specificando, inoltre, quali tra quest’ultime siano ammissibili.

Porto e trasporti

Il porto, per Napoli, ha rappresentato da sempre una realtà fondamentale per il suo sviluppo. La sua estensione su di una linea di costa dalle bellezze e caratteristiche naturali invidiate in tutto il mondo, la sua vantaggiosissima posizione geografica rappresentano delle potenzialità enormi.

In primo luogo ci appare assurda la soluzione avanzata di realizzare una piattaforma al largo per gli attracchi petroliferi. Quindi desta meraviglia che non sia stata presa neanche in considerazione, nel programmare lo sviluppo del porto, l’ipotesi della realizzazione di un’area franca.

Un’altra proposta forte che pure con meraviglia non è stata né avanzata né presa in considerazione è quella, in un contesto di fusione tra porto e città, di utilizzare la lunga linea di costa, con relative attrezzature portuali, come mezzo di trasporto alternativo, sia cittadino, provinciale che regionale (soluzione, questa, suggerita anche in uno dei primi questionari riempiti e pervenuti). Difatti potrebbero realizzarsi delle corse che, in poco tempo, metterebbero in comunicazione (con fermate intermedie) la zona orientale (Piazza Mercato, S, G. a Teduccio) con quella occidentale (Bagnoli). Analogo discorso può essere fatto per i collegamenti con la provincia, Ercolano, Torre del Greco, Torre Annunziata e, in particolare, con la costa sorrentina, i cui grandi problemi di collegamento tradizionale (su gomma e su ferro) sono ben noti. Nelle linee guida tracciate nella variante per il porto, di tutto ciò non si parla ne, tantomeno, si riscontra traccia programmatica.

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Osservazioni e proposte

 

Sez. I: Assenza di un presupposto fondamentale: la vocazione della città

 

Osservazione 2) Assenza, tra le finalità, dell’obbiettivo principale: dettare le regole per perseguire la vocazione della città

Lo strumento urbanistico non si pone tra le sue finalità quella di rispondere, in modo chiaro e forte alla vocazione della città. E che non sia ben chiaro, sia a quale vocazione, si può e si deve far ambire la città sia, quindi, le scelte politiche ed economiche a cui la pianificazione urbanistica deve rispondere, traspare dalle soluzioni e proposte elaborate dalla stessa variante in esame. Difatti, come si dirà in più punti, esse sono estremamente contraddittorie prevedendo da un lato la realizzazione di parchi di interesse regionale (ottenuti, ad eccezione del Sebeto di cui si dirà più avanti, assoggettando a vincolo il verde già esistente), la delocalizzazione dell’aeroporto di Capodichino (già prevista dal vigente piano regolatore, a dispetto del quale la stessa giunta che ha approvato la variante ha, invece che attivarsi in tal senso, notevolmente potenziato), il potenziamento di tutte (?) le attività del porto, e poi, dall’altro lato, destinando ampie, varie ed estese aree alla produzione di beni (insediamenti industriali), sia ad oriente, a occidente che a settentrione, come si evince anche dalla zonizzazione 1:18.000. Come si vedrà, saranno ancora altre e tante le contraddizioni alle quali, sicuramente, ha contribuito in maniera determinante l’assenza di un filo conduttore quale può e deve essere un’idea chiara della vocazione, del futuro che si vuole progettare e costruire per la città di Napoli.

Proposta

Appare evidente che la presente osservazione, pur essendo di natura preminentemente politica, è determinante nell’elaborazione di un qualsiasi strumento urbanistico. È ovvio, quindi, che anche la proposta che ci accingiamo a formulare sarà di natura preminentemente politica e, altrettanto ovviamente, rappresenterà il nostro filo conduttore cui ci rifaremo nel proporre tutte le nostre osservazioni e relative proposte alla variante al P.R.G. di Napoli in esame.

Se si vuole dare un futuro a Napoli questi deve essere pensato e progettato in funzione di quella che è la storia, la cultura, il contesto geopolitico e geoeconomico in cui sorge, del ruolo che ha svolto e potenzialmente può ancora svolgere, delle sue risorse e potenzialità, dei suoi problemi.

In considerazione di tutto ciò si è convinti che Napoli debba puntare a diventare un punto di riferimento economico (con una economia basata sul turismo, l’artigianato, la ricerca scientifica e tecnologica, il commercio, i servizi) e culturale che la ponga al centro dell’Europa meridionale conferendole un ruolo guida.

 

 

Sez. II: Insufficienza, e importanti assenze, negli elaborati costitutivi; potenzialità del sottosuolo

Osservazione 3) Assenza di uno studio e relativi elaborati circa il dissesto idrogeologico e conseguente rischio

Come è noto, nel 1997, per il verificarsi di ripetuti gravi e luttuosi dissesti idrogeologici e, più in generale, del soprassuolo e sottosuolo di Napoli, il Governo fu costretto ad intervenire sia nominando, nella persona del Sindaco, un commissario straordinario sia attraverso i lavori di una commissione d’inchiesta parlamentare i cui risultati, tra l’altro, evidenziarono la grande carenza dei sottoservizi (in particolare acquedotto e sistema fognario). Val la pena di ricordare che la stessa commissione stimava il costo delle opere necessarie per il recupero di tale dissesto in circa 2.400 miliardi di lire. A fronte di ciò gli allegati geologici a supporto della variante sono fermi a quelli ultimati nel 1993 in ottemperanza alla legge regionale n° 9 del 07/01/1983. Non esiste alcuna elaborato, allegato alla variante, che valuti il rischio nei confronti del dissesto idrogeologico nel senso ampio del termine e che, quindi, possa consentire di identificare le aree esposte destinandole, come prevede la legge, a vincolo o, come suggeriamo noi, dove possibile a bonifica.

Proposta

Si è fermamente convinti della necessità di produrre ed elaborare, a supporto della pianificazione urbanistica, uno studio, e conseguenti elaborati, sul rischio idrogeologico, documenti, tra l’altro, come accennato, oggi obbligatori per legge.

 

Osservazione 4) Assenza di uno studio e relativi elaborati circa i sottoservizi, con particolare riferimento a quelli da realizzare come prodotto per la variante per la zona occidentale

Come accennato, la stessa commissione parlamentare, poneva in evidenza la carenza e la vetustà di servizi quali sistema fognario e acquedotto. Basti ricordare che già nel 1892 (la data non è errata) fu nominata dal Ministero dell’Interno una commissione di tecnici per far fronte al problema del sottosuolo di Napoli, con particolare riferimento al sistema fognario ed al “nuovo” acquedotto intubato del Serino. Se si tiene conto che l’acquedotto è ancora lì, che la città è cresciuta a dismisura e che sono tanti gli insediamenti abusivi (non solo residenziali) può comprendersi la gravità del problema. È fondamentale, nel bonificare, nel pianificare nuovi insediamenti, nel recuperare quelli abusivi, nel delimitare aree a diversa destinazione d’uso, ecc., conoscere tipo e condizioni dei sottoservizi presenti e di quelli che andranno a realizzarsi. Non ultimo, ovviamente, per il calcolo del loro dimensionamento che è funzione degli stessi insediamenti che servono.

Proposta

Anche in questo caso, ovviamente, si è fermamente convinti circa l’importanza di produrre ed elaborare, a supporto della pianificazione urbanistica, uno studio, e conseguenti elaborati, relativi ai sottoservizi, così come, d’altronde, già fatto per la variante per la zona occidentale.

 

Osservazione 5) Assenza di un documento di pianificazione unitaria (supportato da studio e relativi elaborati) relativo all’utilizzazione del sottosuolo di Napoli, con particolare riferimento alle cavità ed alle loro potenzialità

Come accennato il problema del sottosuolo di Napoli è molto antico essendo, tra l’altro, all’ordine del giorno dell’amministrazione comunale (ma anche del Governo, come visto) ormai da due secoli ed anche più, come i documenti ci testimoniano. Tale problema è caratterizzato da molteplici aspetti, anche molto diversi tra loro; difatti le cavità spesso si rinvengono in stato di abbandono o, peggio, utilizzate in modo e/o per fini non propriamente legali, ed ancora, talvolta, occluse o, peggio, riempite con superficialità o imperizia e senza controlli, rappresentando, così, un grave pericolo. Tuttavia, come si dirà, il loro numero, la loro notevole estensione (nel maggior parte dei casi praticabile) nel sottosuolo, la notevole importanza storica che caratterizza diverse di esse, ne fanno una grande potenzialità che unitamente al loro pericolo non possono non essere tenute in considerazione nell’elaborazione degli strumenti urbanistici quale la variante in esame.

Proposta

Ad oggi, nel comune di Napoli, risultano censite circa 593 cavità per una superficie di 618.301 m2 (la più grande allo Scudillo ha una superficie di 41.902 m2 e un volume di 838.040m3). Tuttavia è noto che sono ancora molte le cavità presenti ancora da censire. Tale realtà rappresenta insieme un grande pericolo ed una grande potenzialità; difatti esse, oltre che per parcheggi, possono e devono essere impiegate anche come attrattiva turistica e, fatte le opportune verifiche, come mezzo di comunicazione interno alla città (pedonale, ciclabile, e per mezzi elettrificati). Intervenire su tale realtà, ultimando censimenti e studi al fine di poter pianificare il loro recupero ed utilizzo, comporta, come può notarsi, l’abbattimento del rischio e l’esaltazione delle potenzialità. Si ritiene che un tale strumento sia molto importante ai fini di una corretta pianificazione urbanistica per le molteplici evidenti ricadute che comporta.

 

Osservazione 6) Assenza di un elaborato che riporti tutti gli insediamenti abusivi, condonati e non, al fine di quantificare tale fenomeno e l’incidenza che esso può comportare sulla operatività della variante in esame

Un ultimo importante documento che non è stato elaborato durante i lavori per la variante in esame è quello relativo al censimento e relativa “mappazione”, su scala opportuna, di tutti gli insediamenti abusivi condonati e non. L’importanza di tali conoscenze si ritiene indispensabile ai fini di una corretta pianificazione urbanistica ed il perché verrà ripreso ed esposto in diversi dei punti che seguono. Tale importanza può essere riassunta in tre punti distinti e precisi:

a)      questione abitativa e pianificazione degli interventi residenziali, difatti tutto ciò che non è condonato o condonabile andrebbe abbattuto producendo (data la ben nota gravità del fenomeno a Napoli) un notevole numero di senzatetto;

b)      impatto ambientale, per la notevole e riconosciuta (sia dalla commissione parlamentare sia dal comune) incidenza che il fenomeno dell’abusivismo ha sul rischio legato al dissesto idrogeologico s.l.;

c)      piani di recupero, da realizzare, come previsto dalle leggi 47/85 e 724/94

Proposta

È ovvio, che si ritiene importante la realizzazione di un tale elaborato. Ciò in quanto, come verrà ribadito, si potrà finalmente fare chiarezza sulla reale dimensione del fenomeno discernendo tra gli insediamenti completamente abusi e quelli condonati. Informazioni queste, indispensabili non solo per la variante ma per molteplici altre delicate realtà sulle quali l’amministrazione è chiamata ad intervenire.

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Sez. III: Questione abitativa e accoglienza

 

Osservazione 7) Analisi della questione abitativa non esaustiva di tutte le problematiche in cui essa è articolata

Nella relazione che accompagna la variante viene, giustamente, analizzata la questione abitativa a Napoli. Tuttavia, nonostante la lunga disamina si ritiene che essa non sia esaustiva di tutte le problematiche che la compongono rappresentando di fatto una base di lavoro poco affidabile. Tale affermazione si basa sulle seguenti considerazioni:

a)      le fonti dei dati acquisiti, già non coincidenti, sono state quelle ISTAT e del Comune di Napoli non ritenendo di dover procedere ad eventuali controlli incrociati (in particolare, come si dirà, per gli stranieri) con quelli, ad esempio, del ministero degli interni (prefettura);

b)      la poca attenzione prestata al crescente fenomeno dell’immigrazione, difatti, con riferimento al punto precedente, proprio in base ai dati regionali della prefettura, in Campania nel 1999 gli stranieri registrati risultavano 63.360, mentre per l’ISTAT, nel 1998, ne risultavano iscritti dall’estero solo 6.194; è per questo che nella tabella allegata si è ritenuto riportare tale aspetto, riferendosi ai dati della prefettura, evidenziandone il riflesso;

c)      completa assenza di una analisi che valutasse i risultati delle definizioni delle oltre 70.000 pratiche di condono ancora da esaminare, difatti in caso di diniego e conseguente abbattimento, Napoli si ritroverebbe con un variabile e potenzialmente notevole numero di alloggi in meno.

La sintesi di tutto ciò è stato schematizzato nella tabella sotto riportata dalla quale si può evincere come, considerando le succitate considerazioni, si possa giungere a risultati molto diversi; difatti nella “peggiore delle ipotesi (punto 6)” il deficit di alloggi raddoppia quasi rispetto alla previsione della variante. Peggiori delle ipotesi tra virgolette in quanto le stime, sia per gli stranieri (10.000 sui 63.360 della regione Campania) sia per il condono, non sono certo le peggiori.

Questione abitativa a Napoli

 

Abitanti

Stanze

S. a. (1)

Deficit Stanze

Deficit alloggi

Nuovi alloggi

Deficit all. finale

S. a.  finale

Napoli

 

 

 

 

 

 

 

 

1991

1.067.365

1.248.243

0,86

344.839

86.210

 

86.210

0,86

2006 (2)

976.000

1.248.243

0,78

208.473

52.118

15.035

37.083

0,78

Area in esame  (3)

 

 

 

 

 

 

 

1991

1.013.529

1.178.522

0,86

344.208

83.552

 

83.552

0,86

2006 (2)

927.000

1.178.522

0,79

205.060

51.265

13.035

38.230

0,79

Area in esame, nostre analisi

 

 

 

 

 

 

2006 (4)

937.000

1.178.522

0,80

220.000

55.000

13.035

41.965

0,80

2006 (5)

927.000

1.058.522

0,88

325.060

81.265

13.035

68.230

0,83

2006 (6)

937.000

1.058.522

0,89

339.985

84.996

13.035

71.961

0,84

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(1)     Standard di affollamento la cui media nazionale è pari a 0,67

 

 

 

(2)    Considerando il decremento demografico previsto nella variante

 

 

 

(3)     Dati riferiti all'area disciplinata dalla variante in esame: centro storico, zona orientale, zona

         nordoccidentale

 

 

 

 

 

 

 

(4)    Considerando oltre alla popolazione del 2006, anche il numero di stranieri con regolare permesso che, in base

        ad una statistica approssimata per difetto elaborata su dati della prefettura, oggi risiedono nell'area in esame

(5)    Considerando la popolazione al 2006 senza stranieri ma ipotizzando un diniego per 30.000 alloggi sulle 70.000

        domande del  condono edilizio ancora in attesa di definizione

 

 

 

(6)    Considerando la somma dei punti 4) e 5)

 

 

 

 

 

 

Proposta

Si consiglia di verificare e meglio approfondire l’analisi sulla questione abitativa approfondendo, in particolare, i seguenti quattro punti:

a)      verifica dei dati attraverso l’acquisizione da altre fonti e controlli incrociati;

b)      attenta acquisizione ed analisi dei dati relativi al crescente fenomeno dell’immigrazione in modo da valutare correttamente l’incidenza che esso può avere sulla questione abitativa;

c)      Valutazione ed analisi sulla percentuale di dinieghi, e conseguenti abbattimenti, che potranno scaturire dalla futura definizione delle oltre 70.000 pratiche del condono edilizio

d)      Censimento degli insediamenti abusivi non condonati.

 

Osservazione 8) Inadeguatezza delle risposte date alla questione abitativa

A prescindere dalle considerazioni dell’osservazione precedente, la variante in esame, pur ponendo la questione abitativa (le cui tensioni sociali alle quali ha dato origine recentemente sono ben note) vi ha posto rimedio in maniera insufficiente intervenendo in modo da arrivare soddisfare meno della metà del fabbisogno calcolato, ponendosi, come visto, nelle condizioni più favorevoli. Quello della casa è un diritto che non può e non deve essere negato a nessuno. È per questo che chiediamo uno studio più attento ed una maggiore razionalizzazione degli interventi che, siamo convinti, potranno portare ad ottenere un discreto numero di alloggi in più di quelli programmati.

Proposta

Come accennato siamo convinti che uno studio più attento ed una maggiore razionalizzazione degli interventi possa incrementare considerevolmente il numero di alloggi da rendere disponibili. Tale affermazione “rendere disponibili” ovviamente non è casuale, difatti il problema può essere affrontato attraverso due iniziative contestuali. Una prima iniziativa, tesa a realizzare nuovi insediamenti residenziali, attraverso una maggiore razionalizzazione dell’utilizzo delle aree dismesse. Una seconda iniziativa, invece, attraverso una maggiore razionalizzazione e, in particolare, attraverso il recupero, di quel grande patrimonio immobiliare di cui è proprietario proprio il Comune di Napoli. Si ricorda, a tale proposito, che circa tre anni fa’ lo stesso Comune, attraverso regolare appalto, diede incarico alla società Romeo di censire e valutare il proprio patrimonio immobiliare e, quindi, di studiarne il possibile riuso.

 

Osservazione 9) Nell’accezione più ampia della definizione di questione abitativa, assenza di un qualsivoglia intervento che rispondendo a principi umanitari, sociali e di solidarietà, preveda la realizzazione di insediamenti per l’accoglienza di persone bisognose (immigrati, senza fissa dimora, ecc.)

Si è detto che quello della casa è un diritto che non può e non deve essere negato a nessuno, tuttavia è un atto di civiltà, ancor prima che un dovere improcastinabile di ogni città (e, in particolare, tra quelle appartenenti ai paesi più evoluti) fare quanto possibile per dare a tutti un tetto sotto cui dormire (e, possibilmente, anche un pasto caldo). Anche in questo caso non pare sia stata prestata attenzione ad aspetti e problemi che pure devono trovare la loro soluzione in un contesto di pianificazione urbanistica.

Proposta

Anche in questo caso il problema può essere affrontato attraverso le succitate due iniziative contestuali (utilizzo aree dismesse e riuso del patrimonio immobiliare del Comune).

 

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Sez. IV: I servizi

 

Osservazione 10) Evidente inosservanza degli standard urbanistici in molti quartieri (ben 15 su 29)

Si ricorda che l’art. 3 – Rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e gli spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi – del D.M.1444 del 02/04/1968 recita: Per gli insediamenti residenziali, i rapporti massimi di cui all'art. 17, penultimo comma, della legge n. 765 sono fissati in misura tale da assicurare per ogni abitante - insediato o da insediare - la dotazione minima, inderogabile, di mq 18 per spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggio, con esclusione degli spazi destinati alle sedi viarie.

Tale quantità complessiva va ripartita, di norma, nel modo appresso indicato:

a)      mq 4,50 di aree per l'istruzione: asili nido, scuole materne e scuole dell'obbligo;

b)      mq 2,00 di aree per attrezzature di interesse comune: religiose, culturali, sociali, assistenziali, sanitarie, amministrative, per pubblici servizi (uffici P.T., protezione civile, ecc.) ed altre;

c)      mq 9,00 di aree per spazi pubblici attrezzati a parco e per il gioco e lo sport, effettivamente utilizzabili per tali impianti con esclusione di fasce verdi lungo le strade ;

d)      mq 2,50 di aree per parcheggi (in aggiunta alle superfici a parcheggio previste dall'art. 18 della legge n. 765)

Questo standard è stato poi ritoccato in aumento della Lr 14/1982 che lo ha portato a 20 mq/ab, ripartito rispettivamente in 5 mq per l’istruzione, 2,5 mq per le attrezzature di interesse comune, 10 mq per gli spazi pubblici, 2,5 mq per i parcheggi.

Nelle grandi metropoli che, per una migliore organizzazione e pianificazione del territorio, sono suddivise in quartieri (o, meglio, in circoscrizioni) è da assumersi che tali standard siano da riferirsi a questi ultimi.

Tuttavia, nonostante l’attenzione rivolta a questa problematica – il dato di partenza vedeva tutti i quartieri in deficit, sia nel complesso sia nel dettaglio degli standard richiesti – la variante, comunque, ancora non riesce a soddisfare gli standard richiesti per legge in ben 15 quartieri dei 29 a cui la stessa fa riferimento. In particolare, relativamente all’istruzione, il deficit permane in 22 quartieri. Nel complesso si è convinti che tali deficit difficilmente possono trovare una valida spiegazione, tra l’altro poco o nulla documentata – come richiesto dallo stesso richiamato D.M. 1444/68 – e là dove supportata, la stessa appare ampiamente opinabile.

Proposta

Sono ben quattro le strade perseguibili al fine di soddisfare quegli standard, espressione, tra l’altro, anche della qualità della vita, richiesti per legge.

a)      Utilizzo del patrimonio immobiliare comunale che, come accennato non solo è notevole ma in buona parte in stato di abbandono e sottoutilizzato;

b)      utilizzo delle cavità sotterranee;

c)      ricorso alla legge sulla perequazione;

d)      ricorso, dove proprio necessario, all’esproprio.

 

Osservazione 11) Inattendibilità del dato relativo al conseguimento di dotazione complessiva dei 20mq/ab. ottenuto a scala comunale, sia per il persistere del deficit relativo all’istruzione (pari a 1.249.114 mq) sia per la poco felice e razionale distribuzione delle stesse dotazioni (le cattedrali nel deserto)

Pur se 15 quartieri su 29 persistono al disotto degli standard, nella relazione che accompagna la variante si afferma testualmente, riferendosi alla popolazione nel 2006: Il primo risultato evidente è il pieno conseguimento della dotazione di 20 mq/ab da assicurare. Il bilancio complessivo dell’area della variante produce un saldo positivo di ben 154 ha. Innanzitutto quanto affermato non è corretto in quanto, come specificato dalle citate leggi (D.M. 1444/68 e Lr 14/1982), detta dotazione è articolata in quattro distinte categorie, per ognuna delle quali è stabilito uno standard minimo. Difatti è impensabile avere 20mq di giardini ad abitante e nessuno in ospedali, scuole, ecc. In merito, si evidenzia che almeno una di tali categorie rimane ben al disotto dello standard previsto: quella dell’istruzione con un deficit a scala comunale (che si riflette su 22 dei 29 quartieri) pari a 1.249.114 metri quadrati. Và aggiunto che, in particolare per quanto attiene la categoria degli spazi pubblici, che rappresenta la voce principale nel recupero degli standard, la superficie realmente “nuova” (il verde difficilmente si crea), da realizzare previa bonifica, a fronte dei 9.636.948 mq reperiti è di circa1.400.0000 mq dei 3.500.000 mq del previsto parco del Sebeto, sui quali, tuttavia, sono e rimarranno presenti strade, autostrade e strade ferrate. I “rimanenti” circa 8.000.000 mq di superficie sono sempre esistiti, ciò che per loro cambierà con la nuova variante sarà lo status giuridico. Difatti verranno assoggettati alla disciplina di parco per, attraverso una interpretazione della legge ancora controversa, regolare l’uso del territorio sottoposto a tutela, prefigurando forme di uso pubblico della risorsa privata, ovvero provvedendo – dove indispensabile – la costituzione di attrezzature pubbliche. L’altro aspetto critico è relativo alla distribuzione sul territorio comunale di tali attrezzature. Difatti, come si evince dal dato riportato, sono ben 15 i quartieri che non vedono soddisfatti i probi bisogni di attrezzature pubbliche. Ciò, oltre a creare evidenti disagi ai residenti comporterà, inevitabilmente, notevoli riflessi sulla qualità e funzionalità dell’intera città. Basti pensare ai parcheggi, il cui deficit è conservato in quartieri centrali quali Vomero, Arenella, Chiaia, dove l’esigenza di parcheggi stanziali è notevole, per contro nei quartieri periferici, quasi tutti con superfici in esubero, dove tale esigenza è notevolmente inferiore, si hanno vere cattedrali nel deserto come i 113.500 metri quadrati reperiti in un unico sito a Scampia. Analogo discorso vale anche per le altre attrezzature.

Proposta

Ancora una volta si sono, forse, trascurate le potenzialità e le risorse che territorio e amministrazione di Napoli dispongono. In primo luogo, non condividendo le giustificazioni (studi ed analisi incentrati sugli andamenti demografici) addotte per il mancato raggiungimento dello standard, anche a livello comunale, relativo all’istruzione, si è convinti e si chiede che ogni sforzo venga fatto, se non per portare in pareggio tale deficit – che si ricorda è pari a 1.249.114 metri quadrati –, quanto meno per cercare di ridimensionarlo a valori accettabili che siano, comunque inferiori ai 500.000 metri quadrati (sempre a livello comunale) ed interessi (tale deficit) non più di tre o quattro quartieri, contro i 22 previsti dalla variante. Per la reperibilità delle aree si rimanda alla proposta fatta nell’osservazione precedente (la n° 9).

 

Sez. V: Problematiche ambientali

Osservazione 12) Contraddizioni e poca chiarezza sul futuro dell’aeroporto di Capodichino e sul suolo che dovrebbe rendersi disponibile

Premettendo che già nel piano regolatore generale approvato nel 1972, e tutt’oggi in vigore per l’area in esame, era stata prevista la delocalizzazione dell’aeroporto di Capodichino, destinando a verde l’area sulla quale insiste, si prende atto, da quanto riportato, sia nella relazione sia sulla carta della zonizzazione (zona Fc), che la variante conferma tali scelte. Prima di continuare, vale la pena ricordare qualche dato relativo all’aeroporto:

superficie

2.800.000 metri quadrati

Investimenti

240 miliardi di lire programmati dal 1995 al 2015

Voli giornalieri

87 nel periodo estivo e 68 in quello invernale

Decolli e atterraggi in un anno

61.922

 

Si riportano, inoltre, i dati ISTAT sulle emissioni inquinanti nell’atmosfera dovute al traffico aero nazionale nel 1997 (i dati sono espressi in tonnellate, t):

ossidi di zolfo 268 t, ossidi di azoto 6.821 t, composti organici volatili non metallici 1.622 t, metano 158 t, monossido di carbonio 4.886 t, anidride carbonica 2.528.773 migliaia di tonnellate, protossido di azoto 35 t.

E’ da aggiungere il noto inquinamento acustico e la pericolosità dettata dalla presenza della città nella quale l’aeroporto è stato quasi inglobato.

Oggi, ancor più del 1972, appare ben motivata la scelta di delocalizzare (o, quantomeno ridimensionare) l’aeroporto.

Tuttavia appaiono tre elementi contraddittori rispetto a tale scelta. Il primo, legato alla scelta, contestuale alla gestazione della variante, di potenziare l’aeroporto come si evince dal dato su riportato. Il secondo elemento è relativo all’assenza, nella variante, di un particolare progetto per il recupero dell’area (che, come evidenziato dai dati è notevole) che sarà delocalizzata. Il terzo elemento, infine, è relativo ad una considerazione molto semplice. Se nel redigere uno strumento urbanistico, quale è la variante in esame, si decide di delocalizzare un aeroporto internazionale, quale quello di Capodichino si dovrà, necessariamente e contestualmente pianificare tutti gli interventi per garantire l’accessibilità al nuovo aeroporto anche se realizzato fuori dal territorio. Cosa che non appare essere stata fatta.

Proposta

Appare evidente che il primo passo è, in concerto con stato e regione, la localizzazione per il nuovo aeroporto. In tal senso pare che resti valida la proposta di Grazzanise. Ultimato la realizzazione del nuovo aeroporto passare al trasferimento. In tale lasso di tempo può e deve lavorarsi alla pianificazione del recupero dell’area.

 

Osservazione 13) Contraddizioni e poca chiarezza sul futuro della centrale termoelettrica di Vigliena

Nella variante urbanistica, relativamente alla centrale termoelettrica di Vigliena si parla di dismissione, che non è la stessa cosa di delocalizzazione. Si ricorda che tale polo elettrico è nato con un primo impianto nel 1924; “dismesso e demolito”, nel 1953 viene realizzato un secondo impianto affiancato poi, tra il 1961 e 1965, da un terzo impianto, quello di Napoli Levante. Solo da qualche anno è stato ormai “dismesso” il secondo impianto ed oggi è attivo solo il terzo. L’intero polo produttivo occupa una superficie di circa 113.000 metri quadrati. L’impianto di Napoli Levante fu commissionato all’Ansaldo dall’allora Società Meridionale di Elettricità (SME) di Napoli; di proprietà dell’ENEL fino all’anno scorso, oggi appartiene all’Interpower spa. Esso è costituito da tre sezioni monoblocco uguali, ciascuna in grado di sviluppare 150MW (150milioni di Watt) per una potenza complessiva di 450MW. I tre generatori di vapori sono nati per utilizzare come combustibile sia il carbone che la nafta tuttavia, negli anni successivi, sono stati adeguati per poter utilizzare anche il metano.

Un protocollo d’intesa per la valorizzazione della centrale termoelettrica di Napoli e delle aree circostanti (?) è stato firmato l’anno scorso tra l’amministrazione comunale e l’amministratore delegato di «Interpower spa», Vincenzo Cannatelli, e dall’allora presidente dell' Autorità Portuale di Napoli. Interpower è una delle tre società costituite dall’Enel dopo la liberalizzazione del mercato elettrico nazionale e, come detto proprietaria della centrale termoeletrica. L' accordo conferma il mantenimento e l’aggiornamento tecnologico del polo produttivo di energia elettrica.

Si ritiene che tale scelta sia incompatibile, sia per una reale valorizzazione dell’area sia, in particolare, per la forte incidenza che tale presenza, quasi nel cuore della città, ha sull’inquinamento per il contenuto di gas immessi nell’atmosfera dovuti alla processo di combustione dei combustili. A tale proposito si ricorda che per ogni chilowattora elettrico (1000 wattora) prodotto si immettono nell’aria circa 500 grammi di anidride carbonica (cioè 0,5 Chilogrammi di CO2). Quindi ad oggi la centrale sita a Vigliena, producendo solo 150MW (150mila KWatt), in quanto risulta avere un’attività ridotta, immette nell’aria 75mila Chilogrammi, cioè 75 tonnellate, di anidride carbonica all’ora e 1800 tonnellate al giorno. Relativamente alla incompatibilitàvalorizzazione si ricorda che in tali luoghi sono previsti insediamenti universitari (ex Corradini) e la realizzazione di un porticciolo.

Proposta

Anche in questo caso si consiglia di studiare, in accordo con stato e regione, un sito opportuno per potervi delocalizzare (e non dismettere e ricostruire nello stesso sito di Vigliene) la centrale di Vigliene.

 

Osservazione 14) Assoluta impraticabilità della soluzione, presa in considerazione nella variante, relativa alla delocalizzazione degli attracchi petroliferi in mare, per il grandissimo rischio ecologico alla quale verrebbe esposta una tra le più belle coste del mondo quale è quella di Napoli

Nella relazione alla variante si legge testualmente: “il già citato piano di azione per lo sviluppo urbano, ponendo fra gli obiettivi prioritari la “bonifica e riqualificazione di Napoli est”, prevede la realizzazione fuori del golfo di Napoli di un im-pianto a mare per l’attracco delle petroliere, collegato tramite condotte sottomarine a un’area a terra destinata allo stoccaggio. Questa previsione fa riferimento a uno studio preliminare che ne dimostra la fattibilità tecnica e finanziaria: per il suo sviluppo sarà evidentemente indispensabile la concertazione con Autorità portuale, Regione, Provincia e Comuni interessati.” Una tale soluzione, se praticata, come accennato esporrebbe uno tra i tratti di costa più belli del mondo (da Sorrento a Pozzuoli) ad un elevatissimo rischio ambientale che non può e non deve essere sostenuto da Napoli, in particolare, e le aree interessate in generale.

Proposta

In concerto con Stato (il quale non si comprende perché non sia stato coinvolto), Regioni e comuni devono essere trovate soluzioni alternati. Soluzioni che, a nostro avviso, non possono non rientrare in un contesto di politica nazionale.

 

Osservazione 15) Eccessiva superficie destinata alla produzione di beni (zona D e relative sottozone), ovvero ad insediamenti industriali, tali da fare intuire alla scelta di conservare la vocazione industriale della città che, tuttavia, è ormai incompatibile, sia con l’attuale espansione urbanistica pewr il relativo impatto ambientale sia con le potenzialità della stessa città (naturali, culturali, ecc.) sia, infine, con quella vocazione ed aspettative cui Napoli può e deve ambire

Facendo riferimento alla tabella della zonizzazione e destinazione d’uso, si può notare come su otto, tra zone e sottozone (ci si riferisce a tutte quelle in cui sono riportate le destinazione d’uso), sei sono destinate ad attività industriali e, pur essendo equivalente il numero destinato a servizi (e attività ricettive, quindi turismo), in tre di tali casi è prevista la prevalenza dell’“uso” industriale (d) sulla somma della destinazione residenziale (a) e dei servizi (c). vi è da aggiungere che oltre ai 4.200.000mq destinati a nuovi insediamenti industriali nella zona orientale si rinvengono nella zonizzazione discrete aree sia ad occidente che a settentrione.

Zonizzazione e destinazioni d'uso

Zona

Tipo

% Int. Diretti

Superficie Km2

Destinaz. d'uso *

Interventi

A

Centro storico

97

19,04

in normativa

in normativa

Aa

Strutture isolate

 

 

a, ricett. e inter. Pubb.

4

Ab

 

 

 

Parch. arch. e ricettive

4

Ac

porto storico

 

 

 

 

B

Agglomerati urb.di recente formazione

in ambiti

 

 

 

Ba

Edilizia d'impianto

in ambiti

 

a, d,

ristrutturazione edilizia

Bb

Espanzione recente

in ambiti

 

a, c, d

ristrutturazione edilizia e urb.

Bc

Porto recente formaz.

 

 

 

 

D

Produzione di beni e servizi

in ambiti

4,2

d > a+c

ristrutturazione edilizia e urb.

Da

Produzione di beni e servizi – riqualificazione

in ambiti

 

d > a+c

 

Db

Nuovi insediamenti per la produzione di beni e servizi

in ambiti

 

d > a+c

ristrutturazione edilizia e urb.

E

Elementi strutturanti conformaz. naturale del territorio

4

 

a, b, c

ristrutturazione edilizia

F

Parco territoriale

in ambiti

39,42

a, b, c

 

G

Insediamenti urbani integrati

in ambiti

 

a, d

ristrutturazione edilizia e urb.

*         a)

abitazione ordinarie, specialistiche e collettive; attività artigianali e commerciali al minuto per beni di prima necessità; studi professionali, ed altro

b)

abitazioni agricole; attività agricole e di produzione e commercio dei prodotti agricoli; attività ricettive di tipo agrituristico e relative funzioni di servizio

c)

attività per la produzione di servizi (ad esempio direzionali, ricettivi, culturali, sanitarie, per l'istruzione universitaria, sportive, commerciali all'ingrosso, eccetera) e relative funzioni di servizio

d)

attività per la produzione di beni e relative funzioni di servizio

 

le destinazioni c) e d) sono state trascritte integralmente come riportate nella normativa della variante (art. 21)

 

Proposta

Si è convinti, e si suggerisce, che per Napoli, volte per tutte s  abbandoni vocazione industriale conservando, tuttavia, alcune nicchie di produzioni specialistiche di qualità, a condizione, ovviamente che la loro capacità di inquinamento rientri nelle norme prescritte e sia controllata. Per gli insediamenti attualmente in funzione la continuità della loro attività deve essere legata all’adeguamento alle normative sull’inquinamento prevedendo, tuttavia, eventuali incentivi per una riconversione commerciale o turistica dell’area dove gli stessi insistono.

Osservazione 16) Insufficiente creazione di aree verdi e spazi da destinare ad attrezzature pubbliche in rapporto a tutte le aree dismesse da attività industriali e ad esse relazionate

Si ritiene che l’area effettiva (al netto di insediamenti residenziali, strade, autostrade e linee ferrate) che realmente potrà ottenersi nel previsto parco del Sebeto sia, in rapporto all’area libera, insufficiente. Nelle debite proporzioni ciò vale anche per le altre aree destinate ad insediamenti industriali.

Proposta

Come verrà ripetuto, si suggerisce di rivedere la zonizzazione dell’area orientale in particolare ma apportando qualche ritocco anche all’intera area comunale avendo cura di ridimensionare la zona D (insediamenti industriali) a favore della E o della F.

 

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Sez VI: Centro storico

Osservazione 17) Ragionevole l’ampliamento del centro storico ma privo di valore e funzionalità senza contemplare, come fatto, la distinzione tra centro antico e centro storico

Premettendo che la città di Napoli ha una storia molta antica, i primi insediamenti risalgono al IX secolo a.C., con l’attuale variante, il perimetro del centro storico della città viene ad essere notevolmente ampliato includendo buona parte del Vomero e, ad est, di Corso Malta; quindi, borda tutta la costa, da ovest ad est, arrivando quasi senza soluzione di continuità da Posillipo a S. G. a Teduccio, comprendendo, nell’entroterra, alcune isolate e talora estese aree come a Bagnoli ad occidente, Secondigliano a nord e S. G. a Teduccio e Barra ad oriente.

Ciò in quanto si è ritenuto di includervi tutto quanto costruito prima del secondo dopoguerra. Scelta ragionevole ma che porta ad equiparare le aree più antiche quali i Decumani e il Promontorio di Pizzofalcone sede, appunto, dei primi insediamenti, con aree come il Vomero belle ma di recente (relativamente ai primi) formazione. La distinzione tra centro antico (Decumani e area di Pizzofalcone) e centro storico consente di poter meglio pianificare, sia gli interventi edilizi sia la programmazione delle attività cui destinare le stesse.

Proposta

Si suggerisce di distinguere all’interno della zona A (centro storico) tra centro antico e centro storico. Pianificando interventi esclusivamente conservativi con attività prevalentemente museale e, comunque, legate ad un turismo culturale, nel centro antico e interventi prevalentemente conservativi ma aperti a limitati e contenuti innovazioni che consentano, nel rispetto del contesto architettonico esistente, l’adeguamento delle strutture ai bisogni di talune attività riconosciute socialmente utili, e ad attività, oltre a quelle legate ad un turismo culturale, diversificate (ricettive, commerciali, ecc.).

 

Osservazione 18) Valutando positivamente la normativa attuativa elaborata per il centro storico si osserva, tuttavia, che essa, così com’è, non può rispondere in modo funzionale e compiuto ad una distinzione aerale tra centro antico e centro storico, ritenendo, invece, opportuno un tale adeguamento

L’attuale variante, in fase di approvazione, ha identificato per il centro storico 53 unità tipologiche rappresentative di tutte le tipologie di edifici presenti ed ha elaborato una specifica normativa che disciplina tutti gli interventi possibili per ognuna di essa. Sono stati, quindi, studiati tutti gli edifici ricadenti nel centro storico ed ognuno di essi è stato ricondotto ad una delle suddette 53 tipologie. Sono state, infine, elaborate delle tavole in scala 1:2000 sulle quali ogni edificio è stato contraddistinto con una grafica propria della sua tipologia. È scritto nella relazione: è una norma vasta ed articolata, perché deve dar conto di tutto quanto deriva dalla classificazione operata, cioè deve: 1) definire l’unità tipologica, 2) chiarire finalità e modi della sua conservazione, 3) elencare in rapporto alla sua specificità le trasformazioni fisiche ammissibili, 4) fissare le utilizzazioni che con quei caratteri fisici e con quei limiti di trasformazioni consentiti risultano compatibili. Tale normativa sarà attuativa; ciò vuol dire che consultando le suddette tavole in scala 1:2000 si potrà sapere a quale unità tipologica corrisponde il proprio edificio e, quindi, tutti gli interventi, rigorosamente conservativi, prescritti nella stessa normativa. Solo per talune particolari realtà si è rimandato a piani particolareggiati. Tutto ciò, come accennato, renderebbe molto problematico, in particolare, l’applicabilità di tale normativa su aree spaziali omogenee distinte come suggerito (centro antico e centro storico).

Proposta

Pur conservando l’impianto della normativa attuativa elaborata si consiglia di adattarla con norme generali elaborate per le aree distinte, centro antico e centro storico.

 

 

Sez. VII: Il porto

Osservazione 19) Assenza di un indirizzo preciso per lo sviluppo dell’area portuale tale da consentire un preciso orientamento della pianificazione urbanistica ed una razionale utilizzazione delle potenzialità

Dalla lettura della relazione non emerge alcun indirizzo specifico per il futuro dell’area portuale. Ed anche le norme, in particolare quelle attuative, appaiono contraddittorie (si veda Vigliena). L’area portuale assolve, ad oggi a molteplici attività, turistica, commerciale, industriale, di collegamento con le isole ecc. La dismissione dell’area industriale e petrolifera offre l’opportunità di riorganizzare tutta l’area. Opportunità che, data la favorevolissima posizione geoeconomica della città ed alle altrettanto favorevoli caratteristiche naturali di tutta l’area portuale non può e non deve essere vanificata. Per cui è basilare stabilire, in un ovvio contesto generale di rilancio di tutte le attività (eccetto quelle dismesse e a rischio ambientale) su quali attività, in particolare, puntare rispetto alle altre al fine di perseguire un più ampio progetto (che non si vede) di rilancio e sviluppo della città.

Proposta

Con riferimento alla prima osservazione, sulla vocazione della città, si ritiene di prediligere e puntare su attività turistica (crocerista, di diporto, balneare, ecc.) e commerciale (di transito, container, merci, ecc.). Per la valorizzazione turistica appare fondamentale la fusione tra il porto e la città che, come si dirà nella sezione trasporti, può offrire soluzioni molto interessanti. Ma, come si dirà nel prossimo punto, sia l’attività turistica sia quella commerciale posso trarre grandi vantaggi in una pianificazione che, finalmente, contempli la realizzazione di area franca.

 

Osservazione 20) l’assenza di un qualsiasi riferimento alla realizzazione di un’area franca e, quindi, di un orientamento in tal senso della pianificazione urbanistica può rappresentare una grande opportunità mancata e ridimensionare le reali potenzialità di sviluppo

Si ricorda che per area franca, così come potrebbe richiedersi per il porto di Napoli, è da intendersi una parte del territorio dello Stato italiano assoggettato al suo potere politico ma escluso dal suo territorio doganale; quindi, una zona del territorio italiano in cui non vengono riscossi tributi doganali e dazi di importazione ed esportazione. Tale area, per Napoli, potrebbe essere sia di tipo commerciale (stoccaggio e manipolazione delle merci finalizzata a migliorarne presentazione e qualità commerciale) che industriale (in cui le merci subiscono una lavorazione ed una trasformazione). Quindi rappresenterebbe una grande opportunità, sia per il commercio sia per quelle citate nicchie industriali per la produzione di beni di qualità.

Proposta

Ovviamente, si suggerisce di rivedere la pianificazione di tutta l’area portuale, sia per orientarla prediligendo le citate attività turistico e commerciale sia, in particolare, per realizzare ciò in un contesto che contempli l’area franca. Ovviamente, il tutto garantendo, oltre ai servizi di pertinenza, anche altri servizi quali aree a verde, ed a condizione che siano proibite attività inquinanti.

 

 

 

Sez. VIII: Trasporti

Osservazione 21) La poca o nulla attenzione dedicata al recupero e ad una maggiore razionalizzazione delle infrastrutture viarie primarie e secondarie, l’ipotesi di realizzare nuovi 12Km di strada, tra l’altro all’interno del parco, la forse sovrastimata soluzione delle giustissime scelte infrastrutturali su ferro e la disattesa soluzione del deficit dei parcheggi nei quartieri centrali possono compromettere le finalità di accessibilità, funzionalità e vivibilità

Nella variante e, in particolare nel preliminare del piano della rete infrastrutturale stradale si è posto, giustamente attenzione alle vie di accesso ma tuttavia, si è trascurata la viabilità interna e in particolare le aree terminali dei flussi veicolari. Si è puntato eccessivamente sui parcheggi di interscambio periferici dimenticandoche le aree più popolate sono quelle centrali; difatti non è un caso che il tratto di tangenziale a maggiore congestioni (dati del citato piano) è, nei due versi, tra Il Vomero e Corso Malta.

Proposta

Si consiglia di riorganizzare e razionalizzare la viabilità primaria e secondaria, trovare soluzioni alternative per la strada da realizzare tra Scampia e il raccordo per Soccavo, potenziare, come suggerito negli altri punti la dotazione di parcheggio.

 

Osservazione 22) Assenza di un piano integrato - apparendo in tal senso lacunoso e insufficiente quello allegato - dei trasporti che valorizzi in un disegno unitario vie e mezzi alternativi quali il mare e, in un contesto interno alla città, cavità e piste ciclabili

Diceva in il buon Totò (Antonio De Curtis) che è la somma che fa il totale. È evidente che alla soluzione di problemi complessi si giunge agendo solo su molteplici fronti. Il puntare con tanta sicurezza sul trasporto su ferro, come se potesse risolvere tutti i problemi, potrà alla fine rilevarsi un grave errore. La mobilità all’interno di una città come Napoli è molto complessa per cui si ritiene sbagliato non considerare vie alternative che contribuiscano ad alleggerire il trasporto su gomma, pubblico e privato. In tale contesto sorprende che non siano state considerate le vie del mare.

Proposte

Una prima importante e forte proposta, che pure con meraviglia non è stata né avanzata né presa in considerazione, è quella, in un già citato contesto di fusione tra porto e città, di utilizzare la lunga linea di costa, con relative attrezzature portuali, come mezzo di trasporto alternativo, sia cittadino, provinciale che regionale. Difatti potrebbero realizzarsi delle corse che, in poco tempo, metterebbero in comunicazione (con fermate intermedie) la zona orientale (Piazza Mercato, S, G. a Teduccio) con quella occidentale (Bagnoli). Analogo discorso può essere fatto per i collegamenti con la provincia, Ercolano, Torre del Greco, Torre Annunziata e, in particolare, con la costa sorrentina, i cui grandi problemi di collegamento tradizionale (su gomma e su ferro) sono ben noti.

Altra proposta è relativa al sottosuolo. Si ricorda la già menzionata superficie di 618.301 m2 di cavità ed ancora i tanti cunicoli presenti nel sottosuolo. Tuttavia è noto che sono ancora molte altre le cavità presenti ancora da censire. Tale realtà rappresenta insieme un grande pericolo ed una grande potenzialità; difatti esse, oltre che per parcheggi, possono e devono essere impiegate anche come attrattiva turistica e, fatte le opportune verifiche, come mezzo di comunicazione interno alla città (pedonale, ciclabile, e per mezzi elettrificati). Intervenire su tale realtà, ultimando censimenti e studi al fine di poter pianificare il loro recupero ed utilizzo, comporta, come può notarsi e già ribadito, l’abbattimento del rischio e l’esaltazione delle potenzialità.

Infine nel già citato contesto di recupero e razionalizzazione della viabilità si può e si deve tenere nella giusta considerazione la realizzazione di percorsi ciclabili.

 

Osservazione 23) Osservazione conclusiva e riassuntiva: in gioco il futuro di Napoli

Come si evince dalle osservazioni riportate, che non sono esaustive di tutte le problematiche affrontate dalla variante con proposte suscettibili di miglioramento, a fronte di un notevole lavoro svolto rimangono molte zone d’ombra. Napoli è una naturale porta di accesso verso il mediterraneo ed i paesi che vi si affacciano, la sua funzionalità, la sua economia non servono solo se stessa ma la regione e la nazione stessa. Tant’è, che molte problematiche devono trovare soluzioni concertate tra Stato, Regione e comune. Una concertazione poco ricercata che rimane molti e importanti interrogativi aperti quali le delocalizzazioni delle strutture petrolifere, dell’aeroporto di Capodichino ed altre.

Più di tutte manca la vocazione che si sarebbe dovuta dare alla città e che avrebbe potuto e dovuto rappresentare il filo conduttore nella pianificazione urbanistica in esame. Vocazione, tra l’altro, anch’essa da concertare con lo stato in un contesto di sponda che avvantaggerebbe entrambi creando forti opportunità.

Preoccupa anche l’impatto ambientale che l’attuazione di questa variante può avere sulla città se saranno confermate certe scelte quali uno spazio troppo grande per le attività industriali, il mantenimento dell’aeroporto con le potenziali attuali, il mantenimento della centrale di Vigliena, quella scellerata della piattaforma per gli attracchi petroliferi ed altre.

I timori principali vengono, tuttavia, dalla mancanza di chiarezza. Non sono chiare le scelte sulle delocalizzazioni, non sono chiare le stesse destinazioni d’uso e la zonizzazione che porterebbero ad interpretare anche la zona G come zona di possibili insediamenti industriali, non è chiaro il futuro dell’area portuale, non sono chiare le dimensioni verticali degli insediamenti nell’area orientale non essendo stati (cosa assurda) definiti limiti di altezze, ed altro ancora.

Il varo di una variante al P.R.G. (assimilabile ad un vero e proprio nuovo P.R.G.) è un’occasione molto importante per la città di Napoli. È per questo che non può esserci concesso di sbagliare. Le ricadute potrebbero rigettare la città in una crisi dalla quale Bassolino (anche con l’aiuto del primo governo Berlusconi prima, e di un governo, ed una provincia amica, poi) è riuscito, in particolare nei suoi primi cinque anni di governo cittadino, a farla uscire ed allontanarsi.

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