ultima modifica:        lunedì 08 dicembre 2008

 

Estratto  dell'intervento  del   prof.  Giuseppe Luongo

 

 

Professore ordinario di Fisica del Vulacanismo - Università di Napoli Federico II (cliccare qui o sul nome per note biografiche)

 

Il prof. Giuseppe Luongo introduce il suo intervento spiegando che l’essere un vulcanologo, uno studioso di terremoti lo induce a sentirsi naturalmente spinto a rapportarsi con chi subisce, è esposto a tali estremi fenomeni.

Ciò lo porta a pensare alla Protezione Civile e a un modello di vita diverso da quello che viviamo.

Egli ha aderito al gruppo costituente il Comitato Giambattista Vico perché avendo, questi, compreso i problemi che esistono intende, ponendosi come “grilli parlanti”, stimolare la società a discuterne. Evidenzia quanto sia stato stimolante l’intervento del prof. A. Loris Rossi, sottolineando che il momento attuale è più difficile di quanto appaia, ciò perché il “modello” non funziona più. In particolare, guardando al nostro paese, vi è una parte, il sud con in testa Napoli, che “arranca” e la cui inefficienza fa si che, il continuo attingere alle sue risorse, lo “dissangui” sempre più. Tuttavia mentre il resto del paese si attarda su soluzioni vecchie, proprio noi, Napoli e il sud, possiamo essere i primi a trovare soluzioni nuove. Premesso che il livello medio dell’Italia è al disotto del “club” dei paesi più industrializzati, il malessere che si avverte, distinto a Napoli ma latente in tutto il paese, ha tra le sue cause due realtà: la prima è che il futuro non è più determinato, la seconda è la classe dirigente.

La indeterminazione del primo punto è data dall’assenza di un modello che indichi il comportamento per lo sviluppo; quello preesistente non funziona più e, ad oggi, ancora non siamo in grado di elaborarne uno che sia anche in grado di rispondere ai repentini cambiamenti dei nostri tempi. Conseguenza di ciò è l’impossibilità di formare correttamente dirigenti ed operatori. Occorre partire da una rivoluzione culturale che ci consenta di affrontare i problemi, capirli, in modo da trovarvi le soluzioni. Ed è proprio questo il compito del Comitato, stimolare la società in questo, a prendere coscienza di ciò.

Sul secondo punto, il professore parla di una classe dirigente che si attarda su posizioni vecchie. Evidenzia, poi, come già in passato ci si interrogasse se ci si trovasse solo di fronte ad una questione morale o se, come sostenuto da alcuni (tra i quali Egli stesso), fosse anche un problema di capacità. Ribadendo l’importanza della necessità di cambiamenti di strumenti, di comportamenti, di “modelli” di vita, suggerisce che qualche indicazione può essere ispirata dalla “protezione civile”, pensando quest'ultima come un modo di vivere finalizzato ad avere il massimo vantaggio, dalle risorse naturali, con il minimo svantaggio. Negli anni novanta le Nazioni Unite hanno compreso che se il rischio – che è una valutazione economica del danno prodotto dai fenomeni naturali (e non è, quindi, il fenomeno) e/o dalle attività antropiche (l’utilizzo del territorio da parte dell’uomo) – non si abbassa, una parte della risorsa è sprecata e non va allo sviluppo. Fu introdotta la nota equazione per la quale il rischio è dato dal prodotto di tre fattori: un primo è un elemento naturale, costituito dal fenomeno pericoloso, gli altri due sono legati all’attività antropica e sono la vulnerabilità (che rappresenta la risposta di una struttura al fenomeno: più fragile = più vulnerabile; più resistente = meno vulnerabile; ndr) ed il valore esposto (cioè il valore economico dei beni esposti al fenomeno; ndr). Quindi occorre lavorare in modo da rendere meno vulnerabili le strutture, le attività che si vanno ad impiantare, in modo da abbattere il rischio del valore esposto. Bisogna comprendere che non esiste una condizione di rischio zero. Esiste una condizione di rischio accettabile ed occorre essere in grado di saperla valutare. Tale condizione può essere soddisfatta quando “il valore del danno atteso è di gran lunga inferiore alle potenzialità della comunità esposta a produrre risorse e sviluppo”. È chiaro che per la valutazione di tali condizioni ci vuole una cultura, una formazione, ci vogliono scelte politiche.

Nel caso in cui si riscontri che le condizioni di rischio non sono accettabili occorre che questi sia ridotto. Ciò si può fare intervenendo su tre punti principali: 1) pianificazione del territorio; 2) misure strutturali; 3) sistemi di allarme.

Il professore chiude l’intervento evidenziando il disequilibrio che esiste, sia in ambito nazionale che mondiale, nella distribuzione tra responsabilità e risorse nei diversi livelli di governo: centrale, regionale e locale. Tale disequilibrio vede per il governo centrale molte risorse a disposizione e poche responsabilità, per il governo regionale una distribuzione più equilibrate e, infine, per il governo locale poche risorse e molte responsabilità. Occorre, evidentemente, trovare un maggiore equilibrio. Tutto ciò ancora non è stato fatto ed è importante cominciare a parlane e discuterne.

Tutte queste problematiche chi governa, in particolare in Italia, ancora non le ha capite. Ciò che è stato detto per il rischio vale anche per le risorse. Il rischio non è altro che una gestione cattiva di una risorsa, se è alto il rischio è perché si ha una risorsa gestita in modo cattivo.

 

 

 

 

 

 

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